La produzione e il consumo di formaggio nell'area
pedemontana trova le prime documentazioni certe fin dall’XI secolo, figurando
soprattutto nei "pastus" distribuiti ai poveri o ai lavoratori
subalterni: un alimento, almeno in questi periodi iniziali, caratteristico dei
ceti popolari. Infatti pare andassero per la maggiore formaggi particolarmente
piccanti e detti "formaggi dei poveri", poiché bastava una piccola
quantità a dare gusto a grosse porzioni di pane o a sostituire il sale e il
condimento nelle minestre.
Nei secoli successivi il consumo di formaggio si
diffonde in tutti gli strati sociali, superando i più severi principi
religiosi, che ne vietavano il consumo nei giorni "di magro", e gli
iniziali pregiudizi medici ed aristocratici, che lo consideravano cibo pesante
e plebeo.
Fin dal secolo ХIII i formaggi compaiono come oggetto di
censi in natura o di omaggi in tutti i conti delle castellanie sabaude e degli
enti ecclesiastici, soprattutto di quelle che potevano contare su vasti
benefici in tenitori montani. In questi secoli la produzione casearia comprende
essenzialmente quattro tipi di cacio: il "rubeola", antenato delle
attuali robiole; il "seracium", antenato dell'attuale ricotta o
"seirass", prodotto con una parte di latte intero e una parte di
siero; il "brocius", il nostro "bross", piccante e
fermentato con l'aggiunta di acquavite e spezie; il "caseus" che
include i vari tipi di formaggio grasso e semigrasso, che nelle nostre vallate
sono quasi tutti più o meno riconducibili al formaggio Toma.
Tra le fonti documentarie, quasi tutte di letteratura
medica, che attestano con estrema sicurezza la presenza del consumo e della
produzione, di formaggio Toma meritano di essere citati il "De sanitatis
custodia" di Giacomo Albini della prima metà del sec. XIV e l'Opus preclarum"
di Antonio Guarnerio. Ma è soprattutto la "Summa laticiniorum" di
Pantaleone Raballo da Confienza, medico ducale e docente presso lo Studio di
Torino, data alle stampe attorno al 1470, a rappresentare il più ampio ed
esauriente panorama del consumo caseario degli ultimi secoli del Medio Evo. In
particolare egli, classificando le varie qualità di formaggio presenti sui
mercati pedemontani, cita tra i "caseus modicativus" i gustosissimi caci delle Vallate Alpine,
noti per il sapore intenso e piccante, frutto di una stagionatura di circa sei
mesi e della miscelazione di latte bovino e caprino. Dal Medio Evo ad oggi la
Toma si è affermata come formaggio tipico dell'areale alpino piemontese,
mantenendo soprattutto tra i margari tipologie produttive e risultati
organolettici che ben poco si discostano da quelli descritti nei documenti
medievali.
(ricerca Asprolat Piemonte)