mercoledì 3 ottobre 2018

Toma, antico cibo dei poveri

La produzione e il consumo di formaggio nell'area pedemontana trova le prime documentazioni certe fin dall’XI secolo, figurando soprattutto nei "pastus" distribuiti ai poveri o ai lavoratori subalterni: un alimento, almeno in questi periodi iniziali, caratteristico dei ceti popolari. Infatti pare andassero per la maggiore formaggi particolarmente piccanti e detti "formaggi dei poveri", poiché bastava una piccola quantità a dare gusto a grosse porzioni di pane o a sostituire il sale e il condimento nelle minestre.
Nei secoli successivi il consumo di formaggio si diffonde in tutti gli strati sociali, superando i più severi principi religiosi, che ne vietavano il consumo nei giorni "di magro", e gli iniziali pregiudizi medici ed aristocratici, che lo consideravano cibo pesante e plebeo.
Fin dal secolo ХIII i formaggi compaiono come oggetto di censi in natura o di omaggi in tutti i conti delle castellanie sabaude e degli enti ecclesiastici, soprattutto di quelle che potevano contare su vasti benefici in tenitori montani. In questi secoli la produzione casearia comprende essenzialmente quattro tipi di cacio: il "rubeola", antenato delle attuali robiole; il "seracium", antenato dell'attuale ricotta o "seirass", prodotto con una parte di latte intero e una parte di siero; il "brocius", il nostro "bross", piccante e fermentato con l'aggiunta di acquavite e spezie; il "caseus" che include i vari tipi di formaggio grasso e semigrasso, che nelle nostre vallate sono quasi tutti più o meno riconducibili al formaggio Toma.
 
Tra le fonti documentarie, quasi tutte di letteratura medica, che attestano con estrema sicurezza la presenza del consumo e della produzione, di formaggio Toma meritano di essere citati il "De sanitatis custodia" di Giacomo Albini della prima metà del sec. XIV e l'Opus preclarum" di Antonio Guarnerio. Ma è soprattutto la "Summa laticiniorum" di Pantaleone Raballo da Confienza, medico ducale e docente presso lo Studio di Torino, data alle stampe attorno al 1470, a rappresentare il più ampio ed esauriente panorama del consumo caseario degli ultimi secoli del Medio Evo. In particolare egli, classificando le varie qualità di formaggio presenti sui mercati pedemontani, cita tra i "caseus modicativus" i gustosissimi caci delle Vallate Alpine, noti per il sapore intenso e piccante, frutto di una stagionatura di circa sei mesi e della miscelazione di latte bovino e caprino. Dal Medio Evo ad oggi la Toma si è affermata come formaggio tipico dell'areale alpino piemontese, mantenendo soprattutto tra i margari tipologie produttive e risultati organolettici che ben poco si discostano da quelli descritti nei documenti medievali.
(ricerca Asprolat Piemonte)